I bellissimi disegni sulle ali delle farfalle rappresentano l’elemento che distingue i Lepidotteri dagli altri ordini di insetti alati, aventi ali generalmente traslucide ed uniformi. Le farfalle e le falene, infatti, possiedono ali diverse non solo per la forma (appuntita o arrotondata, frastagliata o continua, con le code e via dicendo), ma anche per l’incredibile gamma di colori che le rende così straordinariamente belle. Osservando le tonalità di questi insetti è possibile ammirare ogni sfumatura percepibile dall’occhio umano. Ma com’è possibile una tale meravigliosa varietà?
Il Papilio memnon sfoggia una colorazione pigmentata di avvertimento.
I disegni e le straordinarie variazioni cromatiche delle ali delle farfalle derivano da una complessa e fittissima sovrapposizione di minuscole squame, disposte in modo ordinato e regolare come le tegole su un tetto. Queste squame non solo rivestono interamente la superficie alare, ma giocano un ruolo fondamentale nella creazione di motivi visivi utili per la mimetizzazione, la comunicazione e l’attrazione sessuale. Nelle specie più antiche di lepidotteri, queste strutture erano semplici peli, ma nel corso di circa 200 milioni di anni di evoluzione si sono trasformate, specializzandosi e acquisendo funzioni sempre più complesse. I colori che vediamo oggi possono derivare da pigmenti chimici presenti all’interno delle squame, da sofisticati effetti ottici causati dalla microstruttura fisica delle squame stesse (come interferenza, diffrazione e rifrazione della luce), oppure dalla combinazione di entrambi i meccanismi. Questa varietà di strategie consente alle farfalle di esibire un’incredibile gamma di tonalità e riflessi cangianti, spesso invisibili all’occhio umano ma percepibili da altri animali.
Esemplare di Troides magellanus fotogrfato da due angolazioni diverse.
Nella colorazione pigmentata i colori sono derivati da sostanze chimiche che si originano da processi metabolici (spesso come prodotti secondari delle escrezioni) e sono contenuti nel piccolo spazio vuoto all’interno di ogni singola squama. Tra i pigmenti più importanti ricordiamo la melanina, che genera le colorazioni nerastre e marroni, la famiglia delle pterine (leucopterina, xantopterina, eritropterina….) che producono il bianco, il giallo, l’arancio e il rosso, presenti soprattutto nei Pieridi. I flavoni danno origine ai colori crema e giallo in molte altre famiglie di farfalle. Alcuni pigmenti sembrano originarsi direttamente dalle foglie della pianta di cui si nutre la farfalla allo stadio di bruco. Il papilionide Troides magellanus è un bell’esempio di come la colorazione possa modificarsi quando cambia la posizione da cui si osservano le ali. In questo caso, il giallo delle ali posteriori muta in un azzurro-verdastro iridescente.
Vista dorsale di un maschio di Morpho menelaus didius catturata in Perù e conservata nel Museo di Tolosa – foto: Didier Descouens.
I colori morfologici sono prodotti dalle proprietà fisiche delle squame. Le tonalità che noi percepiamo sono date dall’interferenza delle onde luminose con squame trasparenti, dotate di micro-fessure, creste e solchi longitudinali. In alcune specie queste micro-sporgenze sono organizzate in strati sottili costituiti da materiale traslucido e disposti con un’angolatura costante, inoltre sono alternati tra una squama e l’altra da uno spazio vuoto. La luce bianca, che in realtà è policromatica, cioè formata da tutti i colori, viene riflessa dalle squame con lunghezze d’onda diverse, cioè con sfumature differenti ed effetti metallizzati a seconda dell’angolazione con la quale si osservano le ali. Alcuni esempi evidenti sono forniti dalle ali delle farfalle blu ed azzurre del genere Morpho, ma più in generale possiamo dire che molte tonalità di verde e azzurro delle farfalle sono prodotte in questo modo. Per distinguere i due tipi di colorazione si può fare un test: basta far cadere qualche goccia di acqua sulle ali di una farfalla; se hanno una colorazione pigmentata, non cambieranno tonalità, se hanno una colorazione strutturale, diventeranno nettamente più opache.
Struttura delle squame e rifrazione della luce.
Il testo del presente articolo, tratto da da Panzetti et al. (2003-2004: f. 19) e Peruzzo et al. (2007: f. 19), è qui pubblicato su gentile concessione della Alberto Peruzzo Editore SRL.